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Riflessioni post sciopero


Ragionare a mente lucida non è semplice, come non è semplice descrivere il turbine di emozioni provate in questi sei giorni appena trascorsi. Sei giorni di levatacce la mattina, di notti insonni, di sole e di asfalto, di condivisioni e divisioni, di gioia e di pianti.

Arrivare al lavoro e non trovare nessuno striscione appeso, nessuna bandiera sventolante, nessun banchetto di cibo, preparato con amore e coraggio, mette addosso un sacco di malinconia.

Continuo a chiedermi se è davvero servito a qualcosa, se le nostre azioni sono riuscite realmente a cambiare il corso degli eventi, se la nostra fatica e il nostro sudore verranno premiati con un risultato.

La situazione, lo sappiamo tutti, non è semplice. Da un lato abbiamo una grossa multinazionale, a cui interessa solo il profitto, e che ci considera solo come numeri di matricole, dall’altro abbiamo le sigle sindacali, con le mani in pasta nei giochi politici, e che molto spesso perdono di vista quelli che dovrebbero tutelare, noi lavoratori.

L’azienda mette in campo tutte le sue capacità manageriali e di marketing, per farci apparire come dei lavoratori privilegiati, che hanno goduto di uno status economico non in linea con il mercato, ed emana comunicati (o dovrei chiamarli editti?) volti a dividere l’unione che si è instaurata e rafforzata tra i suoi dipendenti, in questi lunghi mesi. Dividi et impera, ma d’altronde stiamo parlando di un colosso mondiale che nel 2014 ha fatturato 28,7 miliardi di euro, con 315 punti vendita in 27 paesi.

Solo in Italia, l’anno scorso, Ikea ha chiuso in attivo con un fatturato di 1554 milioni di euro, 21 negozi e oltre 6.000 dipendenti.

E oggi ci viene a dire che, causa la situazione economica in atto, il nostro contratto integrativo non è più al passo con i tempi, che c’è bisogno di riformularlo, A RIBASSO, secondo criteri di equità e giustizia. Mi chiedo quale equità e giustizia ci sia, a cercare di trascinare 6.000 famiglie verso la soglia di povertà. Povero Aristotele.

A noi sembra piuttosto una manovra, sapientemente studiata, che CAVALCA E APPROFITTA della crisi, nonché di decisioni politiche e di governo, che stanno cancellando anni e anni di sforzi e di diritti acquisiti.

I sindacati confederali, unici interlocutori ufficiali con l’azienda, si trovano tra incudine e martello, tra pressioni politiche e favoritismi, e non ovunque si stanno comportando egregiamente.

E poi ci siamo noi, i lavoratori. Quelli che hanno contribuito più di tutti a far diventare Ikea quella che è. Quelli che rinunciano a passare i week end con la propria famiglia per andare a lavoro. Quelli a cui hanno raccontato la favola dell’azienda-famiglia, dove tutti facciamo la differenza e tutti siamo importanti. La favola di creare un futuro migliore per la maggioranza delle persone.

L’azienda siamo NOI.

E quindi, care colleghe e cari colleghi, vi faccio un appello. Non lasciamoci intimorire dalle pressioni, da ovunque esse vengano. Non lasciamo correre di fronte a questa ennesima ingiustizia. Ci siamo risvegliati dal letargo, continuiamo ad andare avanti a testa alta, reclamando i nostri diritti. Reclamando ciò che ci appartiene. Facciamoci sentire, DIFFONDIAMO LA NOSTRA ISTANZA, uniti siamo forti, siamo più forti di loro.

E cari lettori, la nostra battaglia è anche la vostra. La nostra voce è anche la vostra. Viviamo in una società liquida dove tutto è permesso, dove tutto è giustificato, dove chi ha un lavoro, anche se sottopagato, anche se precario, deve considerarsi fortunato. Dove, a furia di scendere a patti, abbiamo perso di vista i nostri diritti.

ED E’ ORA DI DIRE BASTA.

BASTA AL LAVORO SOTTOPAGATO.

BASTA AI GIOCHI DI POTERE.

BASTA AI RICATTI.

NOI NON SIAMO SOTTOCOSTO!!!

Una lavoratice Ikea.


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